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ECCELLENTI

“Rovigoracconta ha fatto boom”

“La rassegna può crescere ancora. Mi piacerebbe che durasse di più, e che avesse gadget social”

“Rovigoracconta ha fatto boom”

 

Il suo è stato uno dei volti di Rovigoracconta. Massimo Veronese, giornalista del Corriere della Sera, originario del Polesine e ancora legatissimo alla sua Badia nonostante viva da tempo a Milano, è stato tra i moderatori del festival in arancione. Ospite di “Eccellenti”, su Delta Radio, Veronese ha raccontato con passione l’atmosfera della rassegna, sottolineando quanto il sapere - anche quello più complesso - possa essere reso accessibile e coinvolgente per tutti.

Veronese: partiamo subito da qui. Quella appena conclusa è stata un’edizione di Rovigoracconta che si è distinta per partecipazione e qualità. Come l’ha vissuta?

“E’ stata un’edizione fortunata e straordinaria, come quelle degli ultimi tre-quattro anni. Dopo un periodo tribolato, tra Covid e piogge, oggi Rovigoracconta è esploso letteralmente. Il pubblico risponde con entusiasmo e interesse, e questo è un segnale forte: la città ha voglia di sapere, di incontrarsi, di emozionarsi”.

Anche quest’anno il festival ha saputo mescolare nomi noti e voci nuove. Secondo lei, qual è la chiave del successo?

“Il mix. E’ proprio quello che Mattia Signorini, il direttore artistico, dice ogni anno: vi presenteremo autori che riconoscerete in futuro. E funziona. Certo, i nomi famosi attirano, ma le vere scoperte sono quegli autori magari sconosciuti che riescono a toccarti, a farti ridere, pensare, emozionare. Se il pubblico si emoziona, torna. E questo è il cuore del festival”.

Ha un incontro, tra quelli di quest’anno, che ti ha colpito più di altri?

“Direi Bressanini. Riesce a spiegare la scienza con i fumetti. E questo per me è geniale. Tradurre la complessità in qualcosa che tutti possono capire è un atto d’amore verso chi ascolta. E’ un modo per dire: ‘Ti rispetto, voglio che tu capisca’. Dietro c’è un lavoro enorme. Questo è il vero spirito divulgativo, come faceva Piero Angela”.

Ha parlato di Rovigo come di una città che si trasforma durante il festival. Che cosa intende?

“Rovigoracconta è come una scossa elettrica. La città si anima, si muove, vibra. Non è solo una serie di eventi: è un’atmosfera. Quando arrivo, vedo un mondo che vuole uscire di casa, che desidera ascoltare, imparare. In un’epoca in cui l’isolamento digitale è sempre più forte, questa sete di cultura condivisa è un segnale prezioso”.

Si è emozionato anche lei, in questa edizione?

“Sempre. Ogni anno è una sfida: organizzatori, ospiti, pubblico… tutto può andare storto. Ma poi tutto si compone, come in un mosaico. Vedere le piazze piene, la gente seduta ovunque, che ascolta con attenzione anche temi difficili, è commovente. Significa che la cultura, se proposta con intelligenza, è ancora centrale”.

Secondo lei si può fare di più?

“Sì. La mia proposta? Allungare la durata del festival. Due giorni e mezzo sono pochi. E magari fare gadget: un ombrellino arancione da indossare in testa, utile sia per il sole che per la pioggia. E molto instagrammabile”.

C’è ancora bisogno di cultura?

“Più che mai. Oggi viviamo in un’epoca in cui l’antiscienza, il complottismo, l’ignoranza fanno più rumore della competenza. Per questo chi fa cultura ha una responsabilità enorme. Far capire che sapere è bello, è utile, è necessario. E farlo con passione. Rovigoracconta, da questo punto di vista, è un faro”.

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