CAFFÈ DEC
16 Dicembre 2023
L’autonomia differenziata è veramente un’opportunità? Un tema attualissimo sul quale si è discusso molto trattato a caffè Dec, il programma in diretta su Delta Radio dedicato ad approfondimenti sul diritto dell’economia, con Michele Di Bari, docente di diritto costituzionale del corso di Diritto dell’economia nella sede decentrata di Rovigo dell’università di Padova.
Che cos’è l’autonomia differenziata?
“L’autonomia differenziata è stata chiesta dalla Regione Veneto e da altre regioni come la Lombardia e l’Emilia Romagna al governo centrale qualche anno fa. La nostra Costituzione oggi prevede tre tipologie di regionalismo: l’autonomia speciale, lo statuto ordinario e dal 2001, con la riforma della Carta costituzionale, l’autonomia differenziata ovvero la possibilità per le regioni a Statuto ordinario di chiedere maggiore autonomia avvicinandosi a quella tipica delle regioni a statuto speciale. Si parla di opportunità o rischio perché è necessario innanzitutto domandarci se l’Autonomia differenziata funzioni e se funziona bene. Delle 5 regioni a Statuto speciale l’unica in positivo rispetto al bilanciamento tra quanto viene prodotto in ricchezza e le spese è la regione Valle d’Aosta. Tutte le altre hanno un bilancio negativo e, non riuscendo a coprire tutte le spese con la propria ricchezza, necessitano di fondi dalla fiscalità generale. Questo significa che, per creare altre realtà di questo tipo o simili, è necessario capire se il bilancio dello Stato possa o meno reggere una riforma di questo tipo. Le regioni che oggi riescono a contribuire alla fiscalità generale nel nostro paese sono solo sette, e di conseguenza contribuiscono in modo fondamentale al bilancio dello Stato, tra queste il Veneto. Autonomia differenziata significa chiedere e eventualmente ottenere maggiore competenza in alcune materie. Il Veneto l’ha chiesta in tutte le materie concorrenti previste dall’articolo 117 comma 3 e alcune del secondo comma. Questo vuol dire gestire il comparto istruzione, ricerca, trasporti e infrastrutture e quindi assumersi delle responsabilità in termini di competenze molto elevate che richiedono un aumento della capacità di spesa della regione. La riforma prevede che l’autonomia differenziata non debba comportare ulteriori oneri per lo Stato ma se la regione assume più oneri che portano alla necessita di trattenere più gettito che non viene restituito alla fiscalità generale, come può il bilancio dello Stato non subire delle variazioni?”
Se l’autonomia differenziata non è sostenibile, da chi verrà pagata?
“Non lo sappiamo proprio perché il disegno di legge che prevede il discutere dell’autonomia differenziata parte dal presupposto teorico per cui l’autonomia differenziata non debba costare nulla di più di quanto sia previsto dallo Stato. Inoltre, tra le varie materie che sono state richieste come maggiore autonomia ci sono anche quelle che rientrano nella contrattazione collettiva e sulla sicurezza sul lavoro. Di conseguenza enti esponenziali e rappresentativi dell’imprenditoria come Confindustria si sono chiesti se sia possibile avere in un sistema nazionale regioni che hanno tipologie contrattuali e magari anche garanzie diverse e come si possa fare impresa con una tale differenziazione tra territori contigui. Forse l’autonomia differenziata, per come era stata pensata nella riforma del 2001, è sicuramente una sfida positiva ma allo stesso tempo probabilmente non si era immaginata una devoluzione così ampia di materie e soprattutto oggi non si è in grado di prospettare quale sarà l’impatto sul bilancio e sulla velocità tra le diverse aree del Paese”.
La grande critica che si fa all’autonomia differenziata è la devoluzione dei ricchi rispetto ai più poveri…
“Non è un rischio di poco conto. Laddove si dovessero devolvere così tante competenze ad alcune regioni e di conseguenza anche la capacità, il reddito e il gettito dello Stato per poter far fronte alle esigenze che queste comportano, il denaro verrebbe distratto dalle aree del Paese che oggi soffrono di più rispetto a delle carenze di tipo economico. L’autonomia differenziata funziona nelle realtà in cui c’è omogeneità ma in caso di disomogeneità, e quindi di disparità territoriali, si rischia di esasperarne lo scenario”.
Ci sono quindi regioni che contribuiscono al bilancio dello Stato e altre che non riescono a farlo…
“Il problema sostanziale è cercare di capire come rendere le regioni che oggi non riescono a performare economicamente bene più performanti e successivamente capire come redistribuire le competenze. Le richieste di maggiore autonomia sono venute da molte regioni, anche dalle più inaspettate come la Campania e la Puglia. La maggiore autonomia attrae principalmente le regioni economicamente più avvantaggiate perché lo scopo dell’autonomia differenziata dovrebbe essere quello di efficientare ulteriormente la spesa. In realtà il regionalismo italiano ha dimostrato storicamente che la spesa, con l’avvento delle regioni, non è diminuita ma è esplosa. Dovremmo quindi capire come funziona realmente la locazione delle risorse”.
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