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CAFFE DEC

Libertà di espressione e i suoi limiti

“Ognuno può dire quello che pensa, una libertà non assoluta”. Le differenze tra Italia e Usa

Libertà di espressione e i suoi limiti

Giovanni Cinà, docente di Diritto comparato, è stato ospite di Caffè dec ai microfoni di Delta Radio. Argomento di discussione, la libertà di espressione, oggi più che mai argomento all’ordine del giorno per la presenza dei social network che tanto hanno influenzato il modo di divulgare le notizie.

“La libertà di espressione sui social media - dice il professore - c’è ed è garantita dal noto articolo 21 della Costituzione sulla libertà di manifestare il proprio pensiero. Ognuno è libero di dire quello che pensa. Come tutte le libertà, ovviamente, non è assoluta, ci sono nei limiti, che non per forza corrispondono con quelli di altri Paesi. Non si possono dire cose che ledono la reputazione o la dignità dell’altro e per questo esiste il reato di diffamazione. Fino a qualche anno fa c’era anche il reato di ingiuria, oggi è solo sanzionato. La libertà di parola non è dire quello che si vuole quando si vuole. In ogni caso, si possono tutelare anche espressioni di idee che troviamo offensive o che sono fondate sul nulla, altrimenti non sarebbe libertà”.

E aggiunge: “Negli Usa la sua tutela è molto più severa. Ricordiamo tutti di quando Trump, su Twitter, dal suo account personale, aveva bloccato un utente perché aveva espresso una idea politica difforme dalla sua. Il caso finì addirittura davanti a un giudice perché l’utente riteneva che venisse violata la sua libertà di espressione. Il giudice stabilì che un pubblico ufficiale non poteva bloccare su un social un utente per una opinione politica. Inoltre, anche in Italia è molto importante poter ribattere e poter continuare il dibattito nel mercato delle idee”.

“Si parla poi di legge bavaglio che riguarda l’informazione - prosegue Cinà - per la quale si impedisce la pubblicazione, parola per parola, di testi contenuti in ordinanza cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare. Divieto che, per intenderci, non è assoluto. C’è da dire che, quando sono concluse le indagini, vuol dire che non è neanche partito un processo. C’è anche da dire che ricordiamo sempre l’articolo 21, ma ci sono altri articoli che tutelano l’imputato. Le indagini poi sono lunghe, i processi ancora di più, anzi è di per sé già una pena”.

E conclude: “Europa e Stati Uniti sono ordinamenti molto diversi, sono due modi di intendere che hanno radici storiche e culturali. In Europa il timore è che un determinato messaggio entri nel dibattito pubblico. Negli Stati Uniti il timore invece è che un determinato soggetto politico censuri un messaggio che inficerebbe il mercato delle idee”.

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