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CINEMA E CULTURA

Addio Donald, gigante del cinema

Aveva 88 anni. Un viaggio tra i suoi ruoli indimenticabili e la sua eredità artistica.

Addio a Donald Sutherland: un gigante del cinema che ha saputo coniugare Europa e America

La notizia della scomparsa di Donald Sutherland ha scosso il mondo del cinema. L'annuncio è stato dato dal figlio Kiefer, che ha condiviso il triste evento con una comunità di Hollywood già preparata a questo momento, dato che la malattia aveva costretto l'attore a letto a Miami da tempo. Sutherland, nato il 17 luglio 1935 nel distretto canadese di New Brunswick, ha lasciato un'impronta indelebile nel mondo del cinema, grazie a una carriera che ha saputo coniugare magistralmente la cultura europea e quella americana.

Donald McNichol Sutherland, cresciuto tra la Nuova Scozia e Toronto, ha scelto la strada della recitazione a 22 anni, dopo aver conseguito un diploma in ingegneria. La sua formazione artistica è iniziata alla londinese Accademia d'arte e recitazione, seguita da una stagione teatrale in Scozia. Come molti attori della sua generazione, ha fatto la gavetta in televisione, con ruoli minori alla Bbc e nella Hammer, celebre per i suoi film horror. La svolta è arrivata con il ruolo nel serial "Il Santo" accanto a Roger Moore, che lo ha spinto a partecipare al casting di "Quella sporca dozzina" di Robert Aldrich. Il successo di questo film del 1967 ha aperto a Sutherland le porte di Hollywood.

La carriera di Sutherland ha preso il volo con "Quella sporca dozzina", ma è stato il cinema europeo a dargli le migliori soddisfazioni. Il suo debutto cinematografico è avvenuto in Italia con "Il castello dei morti vivi" nel 1964, diretto da Lorenzo Sabbatini e Luciano Ricci. Dopo il successo americano, Sutherland ha potuto scegliere ruoli che meglio si adattavano al suo stile recitativo, caratterizzato da ironia, understatement e una voce dai toni bassi e inconfondibili.

Negli anni '70, Sutherland ha trovato il suo perfetto pigmalione in Robert Altman, con cui ha lavorato in "Mash" (1970) e "Una squillo per l'ispettore Klute" di Alan J. Pakula. Questi anni sono stati per lui quelli della consacrazione, con film come "A Venezia un dicembre rosso shocking" di Nick Roeg, "Il giorno della locusta" di John Schlesinger, "Animal House" di John Landis e "Terrore dallo spazio profondo" di Phil Kauffman.

L'Italia ha giocato un ruolo fondamentale nella carriera di Sutherland, che ha interpretato due dei suoi ruoli più iconici nel nostro paese. È stato il lunare Giacomo Casanova per Federico Fellini e lo spietato Attila in "Novecento" di Bernardo Bertolucci. Questi ruoli hanno messo in luce la sua capacità di incarnare personaggi complessi e affascinanti, confermando la sua statura attoriale.

Dagli anni '80 in poi, la presenza di Sutherland è stata una garanzia di qualità e successo in una vasta gamma di generi cinematografici. Ha interpretato una spia tedesca in "La cruna dell'ago", un padre di famiglia in "Gente comune", un sergente inglese in "Revolution" di Hugh Hudson, un parroco detective ne "I delitti del rosario", un enigmatico funzionario governativo in "JFK", un gelido uomo d'affari in "Rivelazioni" e il Presidente nella saga di "Hunger Games". Sutherland aveva il dominio assoluto della scena; non era bello, ma il suo fascino seduttivo lo rendeva un "New Lover". Non era aggraziato, ma si muoveva con la leggerezza di un ballerino. Non era destinato ai ruoli da eroe, ma come "cattivo" giganteggiava contro ogni altro presunto eroe. La sua voce vellutata e baritonale gli ha garantito anche la dimensione del grande narratore, come dimostrato dalla sua partecipazione alle Olimpiadi invernali di Halifax.


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