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SETTIMANA DEI DIRITTI UMANI

“Nelle guerre ci rimettono i civili”

Tra i relatori anche il portavoce nazionale di Amnesty, Noury, che accende i riflettori su Gaza

“Nelle guerre ci rimettono i civili”

La guerra avrebbe delle regole. Le ha sempre avute, fin dai tempi più antichi. Perché, sì, le guerre ci sono sempre state, sono sempre state combattute. Il condizionale, però, è d’obbligo perché pensare che una guerra, con il suo carico di morte e distruzione possa rispettare dei principi, è a dir poco agghiacciante. Tuttavia quando i conflitti bellici, intesi come “conflitti aperti e dichiarati fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi condotto con l’impiego di mezzi militari”, diventano privi di regole, la situazione si fa decisamente più complessa.

“Guerra senza regole: i civili pagano il prezzo più alto” è stato il tema al centro del dibattito che si è tenuto ieri pomeriggio in sala Gran Guardia nell’ambito della Settimana dei diritti umani. L’iniziativa, giunta alla sua seconda edizione, ha preso il via proprio ieri con il suo ricco programma di eventi ed iniziative che si concluderà il 21 luglio.

In Gran Guardia, a parlare di orrori e conflitti, in particolare, sono stati tre relatori di eccezione: Riccardo Noury, portavoce nazionale di Amnesty International, Anna Meli, giornalista e direttrice della comunicazione di Cospe, associazione di cooperazione internazionale, laica e senza fini di lucro, e Walter Massa, presidente nazionale di Arci.Tre punti di vista diversi che, però, alla fine, hanno affermato un solo fondamentale principio: “La soluzione bellica - ha chiarito Massa - arriva quando la politica fallisce. E in un contesto di enormi cambiamenti a livello geopolitico globale, non solo tra est ed ovest del mondo ma anche tra nord e sud, le situazioni dolorose di conflitto stanno aumentando. A tutto questo va aggiunto il fatto dell’economia di guerra che produce un giro d’affari da centinaia e centinaia di milioni di dollari”.

Sulle vittime civili di guerra ha messo l’accento, invece, Anna Meli, ricordando, oltre ai conflitti che vengono maggiormente raccontati dal sistema di informazione italiano, ossia quello in Ucraina e quello in Palestina, anche quello in Sudan e nello Yemen. Conflitti che “vengono raccontati - ha precisato - più che altro per le conseguenze che producono in termini di migrazioni, ovvero movimenti di persone che poi toccano l’Italia. Come accade in Libia”.

Dal canto suo Riccardo Noury ha evidenziato che, però, nonostante la “deformazione” nel sistema dell’informazione che spesso fatica a chiamare le cose con il suo nome, come “massacro” quello che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza, ci sono dei procedimenti giuridici avviati dal tribunale internazionale grazie alle richieste di giustizia e di accertamento di responsabilità da parte delle autorità nazionali attraverso le istituzioni internazionali come l’Onu o la Corte Penale Internazionale.

Non solo: anche i cittadini stanno prendendo coscienza della brutalità della guerra e molti movimenti pacifisti a favore dello stop completo alla soluzione bellica stanno prendendo piede. Un barlume di speranza, l’unico elemento che può dare pace alle tante vittime civili e innocenti delle guerre nel mondo.

Elisa Barion

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