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La visione di una Rovigo invisibile

La visione di una Rovigo invisibile

Sarà che quel corto, “Il suono immobile” è stato girato negli anni del post Covid, sarà che quel terrorizzante virus ha cambiato la vita di ognuno, quantomeno segnandola, ma a me viene in mente Dylan Dog e “L’ultimo uomo sulla terra”. E’ importante che un progetto evochi qualcosa nella mente degli altri. E oggi a parlare nel “Salotto” di “Visioni”, ci sono gli autori di quel corto, ambientato a Rovigo, che è un po’ la cifra della profondità con la quale si dovrebbe affrontare ogni sfida. Alberto Gambato, filmmaker, e Camilla Ferrari, compositrice e musicista: due artisti rodigini profondamente radicati nella nostra città, ma con sguardi che si estendono ben oltre i confini provinciali.
La nascita della collaborazione tra Alberto e Camilla racconta bene cosa significhi vivere a Rovigo. “La nostra storia è una storia rodigina, ci conoscevamo di vista fin da ragazzini, ma solo più tardi, quasi per caso, ci siamo trovati a collaborare su un progetto”.
Il primo ambizioso progetto che li ha visti coinvolti, spiega Alberto, riguardava “un episodio legato all'infanzia del papà di Camilla (Gabbris Ferrari, compianto artista rodigino ndr) durante la Seconda Guerra Mondiale, un tentativo di ricostruire la Rovigo degli anni ’40, scenograficamente molto complesso”. Camilla, con la sua schiettezza, ricorda: “Era visionario e folle. Alla fine è diventato un reading teatrale al Museo dei Grandi Fiumi”.
Ma la vera scintilla creativa nasce, appunto, con il cortometraggio “Il suono immobile”, che Camilla descrive così: “Abbiamo immaginato una Rovigo senza esseri umani, dove gli oggetti, le statue, l'arredo urbano prendono vita e comunicano attraverso suoni sottili e spesso dimenticati”. E aggiunge Alberto: “Non volevamo escludere l'uomo, ma invitare i rodigini a guardare con occhi diversi ciò che hanno intorno, spesso trascurato o non ritenuto importante”.
Questo è il senso che caratterizza la visione dei due artisti, che condividono l'intento profondo di valorizzare Rovigo attraverso le sue particolarità autentiche, come sottolinea Camilla: “Bisogna partire dalla consapevolezza che non siamo una grande città, ed è proprio questa la nostra forza, la nostra unicità”. Alberto concorda: “Il nostro lavoro cerca di mostrare ai rodigini ciò che di bello e significativo c'è nella nostra città, che spesso sfugge alla loro attenzione”.
Parlando della percezione esterna di Rovigo, Camilla osserva: “Vivendo a Bologna, invito spesso amici a visitare Rovigo, mostrando loro aspetti nascosti e meno conosciuti, come il Museo dei Grandi Fiumi o la Chiesa della Rotonda. Ne rimangono sempre affascinati”. Alberto, che ha scelto di tornare a vivere qui dopo anni trascorsi altrove, facendo, di fatto, il percorso inverso, riflette: “Rovigo è una città tranquilla e ordinata, dove tutto è a portata di mano, una qualità spesso sottovalutata dai suoi stessi abitanti”.
Quanto sia utile, però, realizzare progetti mainstream, e quanto complicato possa essere farlo in questi anni, lo spiegano bene entrambi. Camilla apre una riflessione personale sul mondo della musica: “Oggi, nel mondo musicale, non basta più avere talento; occorrono visibilità immediata e consenso social. Chi desidera fare questo mestiere deve scegliere se inseguire il successo o seguire una strada più autentica, accettando i rischi che comporta”. Alberto si unisce alla riflessione, aggiungendo il suo punto di vista sul cinema: “Fare cinema oggi significa accettare compromessi spesso difficili. Personalmente preferisco mantenere il controllo creativo, anche se ciò implica lavorare su scala ridotta”. Ma la scala ridotta, spesso, porta comunque a un risultato inaspettato. “Anora” di Sam Baker, pluripremiato agli Oscar, in proporzione ne è un esempio.
Del resto le idee suggestive di Camilla e Alberto per nuovi progetti, un po’ tratta di argomenti comuni a quel film. Camilla immagina una narrazione storica della città “attraverso le donne rodigine, le loro storie personali che insieme raccontano la città stessa”. Alberto, invece, pensa a un lavoro “che esplori la città attraverso gli occhi degli immigrati, vecchi e nuovi, per scoprire cosa pensano di Rovigo e quanto la sentano propria”. Entrambi, poi, condividono il desiderio di valorizzare le voci meno ascoltate della città, come quelle degli artisti viventi e dei custodi della memoria locale. Dalle radici delle Rovigo di tutti i tempi possono nascere narrazioni che finalmente escano dai confini geografici, per portar fuori qualcosa di nuovo.

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