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IL SALOTTO

Il teatro deve parlare ai giovani

Il teatro deve parlare ai giovani

“Il teatro è per il pubblico, e il pubblico non può essere solo quello benestante o privilegiato”. Sono parole rubate a Kevin Spacey, l’attore statunitense due volte premio Oscar, che in teatro ha ottenuto altrettanti importanti riconoscimenti. Lo cito perché parlando di teatro con il regista padovano Giorgio Sangati e con l’attrice polesana Maria Paiato, l’accessibilità economica al teatro è uno dei temi emersi nel nostro “Salotto”. L’altro è strettamente legato, e si riferisce al pubblico, al grado di assorbimento che ha di uno spettacolo teatrale. O che dovrebbe avere. E’ per tutti, sì, quelli preparati ad accoglierne le parole, i gesti, i silenzi e le pause, il ritmo e i movimenti. Il Giorgio bambino fu folgorato da un Attilio Regolo allestito nell’aula magna di una scuola media. Maria, adolescente, la sua prima volta la visse davanti all’Anitra Selvatica di Ibsen messa in scena da Luca Ronconi al Comunale di Ferrara. Il link tra Giorgio e Maria fu proprio il compianto regista romano.
“Giorgio, ricordami, noi ci siamo conosciuti, che facevi l'assistente a Ronconi per La Modestia” ricorda Maria, che a quel tempo stava coronando anni d’attese per lavorare con il maestro. Giorgio, nel suo ruolo di allievo di Ronconi, era il mediatore tra il regista e gli attori, cercava di anticipare qualsiasi problema. Il contesto era complicato. Maria lo ricorda con queste parole: "Sì, che fosse il genio assoluto, e lo era, che fosse un uomo che cambiava, che ti faceva vedere dei punti di vista sulle cose assolutamente inaspettati, ma anche di un carattere abbastanza particolare, quindi insomma io ero terrorizzata. Non so tu Giorgio…”. Il regista padovano di rimando confessa: “No, anch'io ero terrorizzato di base, però l'incontro con Maria che si misurava in un’opera particolarmente difficile, un testo di Spregelburd, ricordo prevedeva due ambientazioni, due storie parallele. Lei, come gli altri interpreti, doveva costruire due interpretazioni che si alternavano nel corso del testo, e io ero ammirato, perché Maria era già un mio mito, la conoscevo da spettatore, l'avevo vista a teatro, e quindi vederla al lavoro per me è stato illuminante, perché non mi era mai capitato di riuscire a vedere in prova un'attrice come Maria, riuscire a prendere le indicazioni, i suggerimenti di Ronconi, e sublimarli, ecco, sublimarli, per cui era pura ammirazione e timore reverenziale anche per Maria comunque”.
Dall’ammirazione reciproca germogliò un metodo che oggi, a distanza di quattro spettacoli condivisi – dal sulfureo Delirio del particolare al brillante Boston Marriage, passando per l’epico Ladies Football Club – continua a evolvere. Sangati descrive il suo compito giovanile come una regia nascosta, “prevenire i problemi, far scorrere il lavoro”, mentre Paiato sintetizza il clima di certe prove con un lampo di ironia: “Contraddittorie, ma anche un po' così, un po' surreali”.
Quando la conversazione vira sul presente, la “necessità” prende corpo nel rapporto fra paura e desiderio. Maria non ha filtri: "La memoria è la cosa che mi uccide". Quarant’anni di palcoscenico non cancellano il brivido della prima; se possibile lo amplificano. Eppure, ammette, l’idea di fermarsi un anno intero resta utopia, perché l’appetito di teatro ritorna appena il calendario concede una pausa.
Sul sistema “teatro veneto” Giorgio sospira e, con lucidità, riflette: “Sarebbe bello, ecco, diciamo, sarebbe bello che invece, magari, questa cosa cambiasse". Si riferisce alla difficoltà di distribuire in Veneto le produzioni venete: un paradosso che costringe le loro creazioni a fare rotta su Brescia, Palermo, Milano prima di trovare spazio a Padova o Rovigo. Maria sottolinea, con autoironia: "Io mi arrendo, guarda, io da quando avevo vent'anni che ho cominciato a lavorare, che il teatro si parla dei suoi problemi, delle sue fatiche, è vero."
La soluzione, secondo lei, parte dalle scuole: "Bisogna veramente trattarlo come una materia di studio, che bisogna conoscere non solo per star lì a dirla, ma proprio per studiarla”. La sfida è formare spettatori esigenti prima ancora che attori, alimentare un ecosistema in cui il biglietto non diventi lusso per pochi e il percorso di visione inizi tra i banchi. Anche perché davanti a qualcosa di bello, nessuno rimarrebbe indifferente: i teatri ci sono, attori e registi pure, manca quel pubblico pronto a sedersi davanti a loro, a stupirsi ed emozionarsi a ogni spettacolo.

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