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IL SALOTTO

La visione infinita dell’universo

La visione infinita dell’universo

“Meglio operando oblïar, senza indagarlo; questo enorme mister de l'universo!” scriveva Giosuè Carducci nelle sue Rime Nuove. Ma c’è chi ha fatto l’esatto contrario di quanto suggerito dal premio Nobel italiano e, anzi, ha “operato” proprio “indagando” nello spazio infinito nel quale siamo posizionati. Seduti nel “Salotto” di Visioni Roberto Turolla, che è professore di Astronomia, astrofisica e scienza dello spazio all'Università di Padova e Massimo Meneghetti, primo ricercatore all'Istituto Nazionale dell'Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello spazio di Bologna. Due rodigini con in comune la passione, lo studio e la divulgazione di una materia affascinante come l’astrofisica.
 Turolla sorride mentre ricorda il suo “primo big bang domestico”: un laboratorio chimico improvvisato in cantina – “ho rischiato di far saltare la casa più di una volta” –, poi l’amore per la matematica e finalmente il passo verso l’astrofisica relativistica. Oggi è considerato uno dei massimi esperti di stelle di neutroni: “Sono i cadaveri più densi dell’universo: la massa del Sole compressa in una sfera di 12 km. Un cucchiaino di quella materia peserebbe cento miliardi di tonnellate”.
Quel mostro di densità nasconde anche calamite cosmiche: i magnetar, con campi fino a 10¹¹ tesla – un milione di volte oltre ciò che possiamo produrre in laboratorio. E la gravità curva perfino le linee di vista: “Di una stella di neutroni non vediamo metà superficie ma due terzi, perché la luce, piegata, ci porta l’immagine anche del “lato nascosto””.

Dalle lenti gravitazionali alla materia oscura
Meneghetti, dal canto suo, è arrivato alla cosmologia partendo dal liceo classico – “una scelta audace” confessa – e da un fulmine in forma di libro: Dal Big Bang ai buchi neri di Stephen Hawking. Oggi studia le lenti gravitazionali, quei giochi di prestigio previsti da Einstein in cui galassie e ammassi deviano la luce come gigantesche lenti naturali.
“L’80 % della massa di questi oggetti è materia oscura, invisibile ma pesante: esiste solo nei suoi effetti gravitazionali. Le lenti ci permettono di “vederla” cartografando come distorce lo sfondo e, allo stesso tempo, di ingrandire le prime galassie dell’universo, come un telescopio cosmico incorporato”.

Confesso ai miei ospiti che pensare alla nostra minuscola posizione nel cosmo mi provoca un brivido quasi ansiogeno. Turolla sdrammatizza: “Ti passa con gli anni: l’abitudine addomestica perfino l’infinito”. Meneghetti rilancia: “Io ancora mi stupisco ogni volta che un nuovo strumento restituisce geometrie mai viste: è la parte più bella del mestiere”.

La domanda inevitabile è il senso pratico di studi tanto distanti dalla vita di tutti i giorni. Turolla è netto: ”La scienza, come il maiale, non butta via niente. Il transistor e il computer vengono da ricerche che sembravano “inutili””. Meneghetti aggiunge l’esempio tascabile: «Nel vostro smartphone c’è un sensore Cmos, discendente diretto dei Ccd progettati per i telescopi astronomici; c’è un giroscopio, evoluzione di quelli delle missioni spaziali; c’è il Gps, figlio dei satelliti”.
E se i fondi scarseggiano? “In Italia sopperiamo con collaborazioni internazionali e molta solidarietà fra ricercatori” nota Meneghetti. “Il vero nodo – insiste Turolla – non sono solo i finanziamenti, ma i meccanismi lenti e limitati con cui si reclutano giovani scienziati”.

Il 2022 ha aperto una nuova era con Ixpe, primo satellite a misurare la polarizzazione in banda X: “Grazie a lui – spiega Turolla – abbiamo avuto la prova sperimentale della birifrangenza del vuoto magnetizzato, predetta dall’elettrodinamica quantistica nel 1936”.
All’orizzonte spunta Xtp, missione sino-europea ancora più sensibile, mentre il super-telescopio Athena promette di catturare raggi X lontanissimi. Sul versante cosmologico, Meneghetti punta tutto su Euclid, fresco di lancio Esa: “Dovrà dirci che cos’è l’energia oscura responsabile dell’espansione accelerata e chiarire la natura della materia oscura che costituisce il 96 % dell’universo”.

E gli asteroidi killer? “Esistono gruppi dedicati a tracciarli con le stesse tecniche che usiamo noi” spiega Meneghetti. “Missioni come Dart hanno già dimostrato che una sonda-proiettile, solo con la propria energia cinetica, può deviare un piccolo corpo celeste senza Hollywood né testate nucleari” aggiunge Turolla. Quanto ai wormhole: “Sono elegantissime soluzioni matematiche, ma non c’è prova che esistano. Ottimi per la fantascienza, non ancora per i dépliant dell’Esa”.

Conoscenza come motore di umanità
Chiudo la nostra chiacchierata tornando alla radice del mestiere: ricerca pura non è lusso, ma investimento sul futuro. “La curiosità – dice Meneghetti – è un motore di innovazione quotidiana. Farlo capire al pubblico è parte del nostro lavoro”. Se l’universo resta per il 96 % “oscuro”, è proprio la fitta rete di domande aperte a farci procedere.
E, forse, a esorcizzare quell’ansia che confesso all’inizio: perché, alla fine, dare un nome all’ignoto è il modo più umano di abitare il cosmo.

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