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IL SALOTTO

Quei muri colorati che stan cambiando il Polesine

Quei muri colorati che stan cambiando il Polesine

Questo Polesine sta cambiando colore, centimetro dopo centimetro di muro. E’ questo il pensiero che mi accompagna mentre riascolto mentalmente la chiacchierata del Salotto di Visioni con due donne che del colore hanno fatto una missione: Melania Ruggini, curatrice del progetto Deltarte, ed Erica Borgato, grafica, illustratrice e, come sono arrivato a chiamarla con un sorriso, street-artist legale.
Capannoni, cabine dell’Enel, mura scolastiche, rotatorie e chi più ne ha più ne metta, parlano una lingua nuova fatta di sagome fresche, cromie vibranti e messaggi che non si leggono, si guardano. “In tredici anni abbiamo firmato oltre 120 murales, tutti geolocalizzati in un museo diffuso che va dal Delta all’Alto Polesine” spiega Melania. Ed Erica spiega come nascono queste opere d’arte: “Ogni parete è un puzzle; la penso come un layout pubblicitario dove ogni elemento deve suonare la nota giusta”. Già ma murale o murales? Melania ride: “Singolare murale, plurale murales – almeno secondo la nostra piccola accademia di strada”. Una risposta semplice, ma che rivela quasi una dichiarazione di poetica: l’opera è una, ma convive sempre dentro una pluralità di sguardi, proprio come succede a Deltarte. E nell’uso corrente, ormai, lo spagnolo murales è diventato un passe-partout che vale anche al singolare.
Melania insiste sull’idea più che sulla mano: “Scelgo artisti che possiedono un linguaggio riconoscibile; non basta la tecnica, serve quel quid che ti fa dire: è suo. Mi piace crescere con i giovani, costruire insieme concept che parlino al territorio”.
È qui che l’anima di grafica pubblicitaria che ha Erica diventa alleata: “Un murale parte dalle dimensioni: prendo le misure, divido la superficie, poi assemblo figure come tasselli. Photoshop aiuta a testare l’impatto da lontano; senza, sarebbe complesso governare la prospettiva”. Un metodo che fonde disciplina da designer e libertà da illustratrice.
Se la prima stagione di Deltarte era quella dei festival in tre giorni, la seconda è passata per le scuole. “Volevamo spostare il baricentro dal pubblico di nicchia alla comunità – spiega Melania – far dipingere i ragazzi significa responsabilizzarli: difendono l’opera, smettono di imbrattare, sviluppano senso di appartenenza”. Erica conferma: “Durante i laboratori mi assaltano: “Io cosa faccio? Io dove dipingo?” L’entusiasmo è contagioso e inclusivo: tutti trovano uno spazio dove esprimersi”. La street art, nata borderline, diventa così palestra di cittadinanza.
Dal colore alla cartografia il passo è breve: tutti i lavori sono inseriti in una mappa interattiva, ma manca – denunciano – una segnaletica fisica, un sistema di bike sharing, una cabina di regia istituzionale. “Immagina un percorso ciclabile che unisce la Sacca di Scardovari al museo della Bonifica di Ca’ Vendramin, raggiunga Adria, pieghi verso Lendinara e risalga fino a Fratta Polesine, passando per un volto iperrealista di Vera Bugatti o per un pattern grafico firmato da Erica” continua Melania. Marketing territoriale puro, capace di trasformare il piano lineare polesano in un atlante di colori che spinge chi passa a rallentare, scattare fotografie, condividere sui social e – dettaglio non secondario – spendere nei bar, nei musei, nei B&B del circondario.
E non è solo una questione estetica: alcuni muri “firmati” dagli street artist più famosi, hanno incrementato il valore degli edifici di un buon 10-15 %. “Un’opera di Jorit può valere fino a 50 mila euro” ricorda la curatrice. “Quando il colore fa salire le quotazioni immobiliari, anche i più scettici cambiano idea”.
C’è però l’ombra dell’effimero: pitture al quarzo e intemperie fissano un count-down di quindici o vent’anni. Alcuni pezzi del 2012 sono già sbiaditi, altri – come la torre piezometrica di Rosolina – addirittura cancellati da mani frettolose. “Sta nascendo la figura del restauratore di murales” rivela Melania; e apre il dibattito: conservare o accettare l’obsolescenza?
Erica, che non ha ancora dovuto “rimettere mano” alle proprie pareti, osserva che spostare un’opera dal suo muro ne cambierebbe il significato: “E’ site-specific, vive di quel quartiere, di quelle crepe, di quell’odore di salsedine”.
Prima di salutarci chiedo dei prossimi progetti insieme. Posso solo annotare che a fine luglio un’azienda del territorio avrà il suo “biglietto da visita” dipinto negli spazi interni: parole chiave, benessere dei dipendenti, continuità con l’ambiente circostante. Il bozzetto ha già convinto tutti. Ma la verità è che un messaggio colorato dietro all’immagine in cui ci si può imbattere viaggiando nel nostro lungo Polesine è quanto di più visionario possiamo regalare a questo territorio e a chi lo abiterà.

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