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VISIONI

Lirica ai giovani, giovani alla lirica

Nel nostro “Salotto” tra musica, teatro e visioni future

Il Teatro Sociale di Rovigo si apre nella memoria di Massimo con la stessa forza con cui, da bambino, spalancò le sue enormi porte rosse: “Avevo sette anni, stavo su in loggione con mia sorella. La Traviata di Verdi, Rosanna Carteri sul palco: il suono che usciva ‘gracchiante’ dalla tv all’improvviso si trasformò in pura seta di violini. In quel preciso momento decisi che la musica sarebbe stata tutta la mia vita”.


Edoardo annuisce e sorride: la sua folgorazione arriva un po’ più tardi, ma in fondo nasce da un identico “dono”: “Era il concerto dell’Immacolata del 2010 nella mia parrocchia; un giovane tenore spagnolo, fresco vincitore del concorso ‘Toti Dal Monte’, ci regalò due biglietti per L’elisir d’amore. Io e il mio migliore amico ci ritrovammo nel loggione: non vedevamo quasi nulla, ma da lì ho capito che volevo vivere di teatro. L’elisir è rimasto il mio porto sentimentale”.
Massimo Contiero, già direttore artistico del Teatro sociale di Rovigo e del Conservatorio Venezze, Edoardo Bottacin, attuale direttore artistico del Teatro sociale di Rovigo, sono i due protagonisti del nostro “Salotto”. In un salotto, poi, le conversazioni iniziano leggere e spesso scavano nel profondo. Per scegliere un’opera, parla il cuore o parla l’intelletto? Contiero non esita: “Il cuore arriva per primo: se la musica non ti emoziona la rifiuti, punto. Ma quando impari a leggere una fuga, a seguire i dialoghi interni di Mahler, la mente festeggia. È un privilegio che, purtroppo, in Italia hanno ‘scelto’ in pochi”. Bottacin ribatte con pragmatismo: “Da spettatore scelgo con il cuore, è vero, ma da programmatore uso la testa: un cartellone non dev’essere il mio album dei ricordi, dev’essere un ponte tra pubblico e palcoscenico”. La parola “ponte” torna spesso. Contiero ricorda gli anni in cui dirigeva sia Conservatorio che Teatro: “Commissionavo un’opera nuova ai compositori viventi, li facevo venire a spiegare la partitura ai ragazzi. La Rai parcheggiò un master a lato del teatro per riprendere Peter Schlemihl di Luca Mosca: fu una scintilla per molti studenti, che oggi hanno fatto della musica la loro vita”. Bottacin, che quella generazione l’ha osservata da spettatore, conferma: “Quando l’abbonato capisce che in stagione troverà sempre un titolo familiare e, accanto, qualcosa di nuovo, nasce fiducia. Così nel 2022 abbiamo portato in abbonamento il Pigmalione di Manfredini e ci siamo ritrovati a vincere il Premio Abbiati con un’opera che all’inizio non avrebbe riempito mezza platea”.


Ma per riempire un teatro di giovani? Bottacin delinea un metodo quasi industriale di “touch point”: visite alle quinte, laboratori aperti, social dietro le quinte, prove generali aperte. “Ai ragazzi serve coinvolgimento attivo; devono toccare con mano quella “polvere del palcoscenico” di cui parla Massimo”. Contiero, più severo, allarga lo sguardo: “Il problema non è solo l’opera, ma la cultura diffusa. Un italiano su due non legge un libro all’anno; come può concentrare l’attenzione per quattro ore su Wagner? Intanto, in Cina contiamo quaranta milioni di studenti di pianoforte che vengono qua per perfezionarsi. Forse la nostra eredità la custodiranno loro”. E sono loro a dominare anche i social. YouTube ha lanciato Ed Sheeran; potrebbe fare lo stesso con la lirica? “L’orchestra è un caleidoscopio di timbri troppo ricco per l’audio compresso” commenta Contiero, ma spiega come proprio le performance di musica classica d’avanguardia sui social siano solo di musicisti dall’oriente. Bottacin in questo senso è pragmatico: “Oggi la carriera si costruisce spesso con i like. Il rischio è poi vendere un prodotto che in teatro non regge”. Il tenore Giuseppe Di Stefano, col quale penso concordino Massimo e pure Edoardo, diceva che l'opera rimanesse comunque uno spettacolo d’élite, non riferendosi dedicata a un elevato ceto sociale o economico, ma nel senso che bisogna conoscerla profondamente per amarla. Ma se mai si inizia…

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