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IL SALOTTO

Rovigo da dietro l’obiettivo

Rovigo da dietro l’obiettivo

Spalanco gli occhi come i bimbi quando, davanti all’inatteso, si fermano immobili e incantati. Questo mi regala una foto. Lo ha sempre fatto, fin dai tempi dell’università, quando seguii il corso di Italo Zannier. “Il futuro appartiene alle immagini che nascono dalla fotografia, non da altro” diceva Zannier. E visto che siamo nel Salotto di Visioni, parliamo pur di futuro con due fotografi polesani, di nascita e adozione, arrivati, partiti e tornati, che con quella macchinetta dotata di obbiettivo e flash, hanno raccontato il mondo da un punto di vista privilegiato. Mattia Zoppellaro, lendinarese, uno dei più importanti ritrattisti a livello planetario e Andrea Artosi, Artax per tutti, ferrarese che del Polesine ha fatto la sua casa e dove ha trovato terreno fertile per il suo studio. “Di fondo ho sempre avuto una grande passione per il disegno, per l’arte, ma la fotografia è diventata un’opportunità per costruire un po’ delle immagini che forse avevo solo nella testa e volevo condividerle con gli altri, uno strumento che uso con interesse, passione e la farei anche se non mi pagassero” racconta Artosi dei suoi inizi. Zoppellaro va dritto al suo primo “click”: “Forse la prima volta in cui mi sono innamorato della fotografia, è stata quando coi miei abbiamo fatto la prima gita fuori porta, in Austria. C’era questa specie di gara di Porsche d’epoca, mia madre aveva una macchina fotografica e me l’aveva prestato un attimo. Avevo 12 anni e ho notato che questa macchina mi aveva permesso di poter entrare e scattare immagini a quei bolidi, mentre gli altri erano rimasti fuori”. “La possibilità di entrare in un altro mondo – ricorda – con la fotografia cerco di capire qualcosa di me stesso tramite il mondo che ho di fronte”. Un po’ la chiave che viene consegnata ai giornalisti, mi vien da pensare. “Il fatto stesso di poter dire a una persona facciamo una foto, già implica di poterla conoscere un po’ di più – prosegue Zoppellaro - è una forma di dialogo”. Artax porta un esempio altrettanto intimo. “Mi occupo anche di fotografie di matrimonio, dove ci sono riti e simbolismi curiosi – le sue parole – ma tramite la macchina fotografica si entra fisicamente nelle case delle persone. Ho visto la foto della nonna, il letto fatto, la cyclette dietro la porta. E’ quasi surreale”. Impugnata la macchinetta, mi chiedo e quale sia il “fuoco” dell’obbiettivo. “Faccio fatica a fotografare la mancanza di umanità – riflette Mattia - ho la necessità di fotografare la presenza della persona. Mi piace molto la traccia umana, mi attrae lo stile, quella condizione impossibile da spiegare ma che riconosci quando la vedi. E non importa che questa persona sia bella, brutta, alta, bassa, ricca, povera”. Per Andrea “il bello della fotografia è che ognuno fa veramente quello che gli pare”. “Io provengo mentalmente dalla strada, dalla musica rap e underground – prosegue – e anche in una scena come il matrimonio cerco di portare fuori la mia identità. Mi piace quando c’è uno scatto che continua a raccontare”. Ma quale sarà mai il fotografo preferito di Zoppellaro e Artosi? “Caravaggio!”. Eccolo il vero link tra le arti, i quadri di Caravaggio come perfette fotografie per colori e chiaroscuri. Ma poi la musica, e il saper prendere qualcosa da qualunque altro artista. “Da ciascun fotografo prendo qualcosa, sicuramente anche da Mattia” confessa Artax. Zoppellaro sorride e rilancia: “L’occhio del fotografo si forma cibandosi di qualunque cosa”. E le foto digitali? “Avevo la camera oscura in casa dei miei, oggi abbiamo la tecnologia, ma lo scatto è ancora lo stesso: non è lo strumento che fa la fotografia” il pensiero di Andrea. Mattia è sulla stessa lunghezza d’onda: “Scattare illimitatamente è molte volte nemico della fotografia: con la pellicola e 36 pose si pone al fotografo una scelta prima dello scatto. Uno degli esercizi che faccio fare agli studenti dei miei corsi è di scattare solamente 36 fotogrammi. Del resto per me la fotografia deve essere imperfetta, le fotografie perfette mi annoiano”. Cosa c’è, in effetti, di più imperfetto di Rovigo? Artax ricorda il suo “Io sono Rovigo”. “Un’idea di dare un senso di appartenenza della città – ricorda - sono stato con un gazebo in piazza Vittorio per una giornata intera, ho fotografato più di 300 persone. Dal presidente dell’Accademia dei Concordi (Giovanni Boniolo all’epoca, il nostro curatore ndr.) a persone di strada, un’installazione pop e temporanea come la street art. E’ stato un bagaglio eccezionale”. Zoppellaro racconta il suo progetto per RoGeneration, fatto col telefonino. “Mi piacevano tantissimo, è come una macchina fotografica che è costantemente con noi – spiega - ho creato una buona mole di lavoro, una sorta di lettera d’amore a Rovigo che è capoluogo di una provincia unica che merita di essere attenzionata e fotografata”. Il 18 e 19 ottobre prossimi, del resto, Zoppellaro sarà a Rovigo con un workshop in concomitanza con la Fiera d’ottobre, in collaborazione con l’Accademia dei Concordi e con l’Associazione Amici dell’Accademia. “Accompagnerò una dozzina di fotografi nel cercare di capire la loro identità fotografica, più che non insegnare come si debba fotografare e faremo tutto questo a Rovigo”. Perché, poi, è con Rovigo che chiudiamo. “Il rodigino non ci crede mai troppo, non si prende troppo sul serio, ma la città è ricca di opportunità per chi le sa vedere: se non c’è qualcosa, alzati e falla”. Zoppellaro, che gli ultimi anni ha vissuto tra Londra e Milano, chiude stringendo Rovigo in uno scatto – almeno per me - perfetto: “Questa città, che apparentemente può sembrare vuota, in realtà è più piena di ispirazione di molte città che sembrano piene, ma che in realtà si sono spersonalizzate”.

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