IL SALOTTO
11 Settembre 2025
“Non si possono separare i problemi sociali da quelli sanitari”. E’ un adagio, non vecchio e molto attuale, che ci propone l’antropologo statunitense Arthur Kleinman. Perché la salute del cittadino dipende dalle organizzazioni sanitarie nella misura in cui riescono ad adattarsi e a prevenire i cambiamenti sociali. E un territorio come quello della provincia di Rovigo può rappresentare, per morfologia, antropizzazione e alta percentuale di anziani, un banco di prova per la tenuta sociale dell’intero Paese. Nel Salotto di Visioni a parlarne ci sono Paolo Sartori, direttore di Radiologia dell’Ulss 3 Serenissima, e Maria Chiara Paparella, già direttrice del distretto sociosanitario di Adria della Ulss 5 Polesana.
“Quando parliamo di anziani – ha spiegato Paparella – parliamo soprattutto di servizi che si svolgono a domicilio. Casa come luogo di cura non è uno slogan: è l’obiettivo primario. L’assistenza domiciliare integrata copre già sette giorni su sette, dalle 8 alle 20, ma stiamo lavorando per arrivare alle 24 ore, soprattutto per i pazienti cronici”.
La geografia del territorio rende la sfida ancora più complessa: “Il Basso Polesine è ampio, dislocato, difficile da raggiungere. Non è solo una questione stradale: l’organizzazione dei servizi deve tener conto di queste caratteristiche”. Da qui l’importanza della telemedicina, “che può essere la soluzione migliore nelle zone più disagiate”.
Per Sartori, la direzione è chiara: “Stiamo vivendo un processo di territorializzazione della sanità. Gli ospedali dovranno occuparsi delle grandi complessità: urgenze, emergenze, chirurgia maggiore e oncologia. Tutto il resto deve andare sul territorio”. Le nuove strutture finanziate dal Pnrr – case e ospedali di comunità – sono un tassello chiave. “Sono fondamentali – aggiunge Sartori – ma ricordiamoci che il Pnrr ha portato muri e attrezzature, non personale. Le macchine aiutano, ma non sostituiscono le persone”.
Paparella conferma: “Il territorio ha bisogno di professionisti. Non possiamo pensare che la tecnologia rimpiazzi figure come infermieri e medici di base. Senza personale, qualsiasi riorganizzazione rischia di restare incompiuta”.
La carenza di professionisti è il vero tallone d’Achille. “Quando ho preso in mano il distretto – ricorda Paparella – un medico di base seguiva al massimo 1.500 pazienti. Oggi sono arrivati a 1.800 o persino 1.900. Lo stesso vale per gli infermieri: i servizi territoriali sono in forte sofferenza”.
Sartori allarga la prospettiva: “Per anni il problema è stato l’imbuto delle specializzazioni. Laureavamo 10.000 ragazzi l’anno ma solo 6.500 potevano entrare nelle scuole. Molti restavano parcheggiati per anni. Oggi il vero rischio riguarda gli infermieri e i tecnici: ne servirebbero molti di più, ma stipendi bassi e condizioni pesanti spingono i giovani verso altre strade”. E il privato? “Un radiologo che lascia il pubblico – osserva Sartori – può guadagnare dal doppio al triplo, senza notti e weekend. È inevitabile che molti scelgano quella strada”. Paparella aggiunge: “Per le aree periferiche, come il Basso Polesine, il problema è doppio: i professionisti scarseggiano e spesso rifiutano di venire a lavorare in zone considerate disagiate”.
Sul fronte tecnologico, Sartori sottolinea i progressi: “Il Veneto ha unificato i sistemi di refertazione e archiviazione delle immagini: con il Ris-Pacs, Venezia può vedere gli esami di Verona e Rovigo quelli di Belluno. È una rivoluzione”. C’è poi la radiologia domiciliare: “Da anni usiamo apparecchiature portatili per fare esami a casa, come la radiografia del torace agli anziani allettati. È un servizio prezioso”. Ma avverte: “Non dimentichiamo, però, il rischio della medicina difensiva. Troppi esami vengono richiesti per autotutela dei medici, intasando liste e sprecando risorse”.
Il ruolo dei piccoli ospedali resta delicato. “L’ospedale di Adria – afferma Paparella – deve dare risposte ai pazienti cronici e garantire un pronto soccorso efficiente. Ma non può avere tutte le specializzazioni di Rovigo. Sarebbe irrealistico pensare di tornare al modello di 30 anni fa»”
Sartori concorda: “È una questione di numeri. Non si può avere cardiochirurgia ovunque: servono casistiche ampie per mantenere qualità e sicurezza. Meglio fare venti minuti in più in ambulanza, ma arrivare in un centro che tratta quel problema ogni giorno”.
Nonostante le difficoltà, entrambi vedono un orizzonte positivo. “Se i progetti del Pnrr saranno completati e ben gestiti – auspica Paparella – avremo una medicina di eccellenza territoriale. Serve che gli interventi si realizzino davvero, con personale sufficiente, non solo sulla carta”.
Sartori rilancia: “Con più risorse potremmo anche retribuire meglio i dipendenti e attrarre nuovi professionisti. Ma serve lavorare anche sulla appropriatezza: ridurre prestazioni inutili, evitare visite e controlli eccessivi. Così si liberano risorse per garantire qualità”.