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Editoria, l’ultimo baluardo dell’umanità

Editoria, l’ultimo baluardo dell’umanità

“Limitato geometricamente, un libro è anzitutto un emblema: richiama un ordine prestabilito, pensato, misurato e per ciò stesso umano”. Prendo in prestito da Valentino Bompiani, editore, scrittore e drammaturgo italiano, questa bellissima citazione per aprire l’ultima puntata del nostro Salotto, nella quale parleremo di editoria. E, appunto, non quella dei quotidiani o delle riviste, ma dei libri. Lo facciamo con due autorità polesane che da decenni se ne occupano: Marco Munaro della casa editrice Il Ponte del Sale, specializzata in raccolte di poesie, e Paolo Spinello, della Apogeo, più legata alla saggistica e alla narrativa. Partiamo, allora, da questo oggetto “geometrico”. “Per me il libro è uno scrigno di conoscenze e di bellezza - esordisce Munaro - la sua storia è millenaria. Oggi tutto cambia, ma il libro, come oggetto e strumento messo a fuoco dall’uomo, resterà”. Nonostante i social e il digitale? “La poesia circola anche lì, perché è breve. Ma la poesia va rilet¬ta, non solo letta: è memoria. I messaggi online sono sostituiti subito. Il libro, nella sua materialità, non si cancella. Quando si brucia un libro si brucia l’umano”.
Spinello annuisce: “Condivido pienamente. Nelle case editrici la presenza di un progetto è più ampia: non c’è la tirannia della quotidianità, ma una programmazione almeno annuale”. Poi mette in fila i nodi concreti: “Il mercato impone la distribuzione. Un distributore nazionale si prende il 55% del prezzo di copertina. Se non stai sotto i 20 euro rischi di essere fuori. Alla fine restano 2-3 euro su cui giocarti tutto”.
Tra poesia e narrativa, chi la spunta? Munaro: “La poesia ha radici orali. In piazzetta Annonaria a Rovigo, dove abbiamo il nostro ritrovo, leggiamo. Non sempre i poeti sono ottimi lettori, a volte chiamiamo attori; ma è importante che il poeta si esponga. Lì si crea un rapporto integrale, col corpo e con l’emozione. La poesia è un gesto di amicizia”. Spinello, dall’altro lato della strada, aggiunge: “I romanzi non vanno ‘presentati’, vanno letti. In saggistica è più facile: puoi invitare voci che si confrontano su fatti. Con la narrativa è un continuo dire e non dire per non spoilerare. Le presentazioni servono a far vedere il libro, ma la sostanza è nella pagina aperta”.
E come lo selezionate un libro? Spinello è netto: “Un libro cammina con le gambe del suo autore o della sua autrice. Cerco qualità e utilità per il lettore, ma anche disponibilità a portarlo in giro. Alcuni spariscono dopo l’uscita: invece lì comincia la vita del libro”. Munaro aggiunge: “Io credo in un rapporto umano fra editore e autore. Si costruiscono amicizie, si condividono gesti. L’editore spesso è co-autore e curatore: dall’idea all’editing, alla revisione. È un lavoro nell’ombra, ma decisivo”.
Ma come sta l’editoria? “C’è una pletora di produzione a cui non corrisponde il lettore – spiega Munaro - in poesia i veri lettori sono pochi; gli aspiranti poeti, migliaia. Noi puntiamo su qualità e valore. Siamo un’associazione con una cinquantina di iscritti. Spediamo un centinaio di copie tra soci e critici, curiamo la stampa, cerchiamo recensioni sulla stampa nazionale. Non significa vendere di più, ma crea prestigio. La distribuzione, però, è una lotta contro i mulini a vento”. Spinello ribalta l’angolo: “Magari si pubblicassero più libri. Viviamo in un Paese libero: il diritto di stampare e di discutere è un bene primario. Ma c’è da dire che si legge meno: i dati 2024 sono negativi”.
Parliamo di territorio. “Con la collana ‘L’arca del Polesine’ abbiamo messo in moto legami con artisti e voci locali: Piva, Palmieri, l’omaggio a Mazzon, il libro su Marchiori. Vogliamo continuare. Abbiamo dialogato sempre con forze vitali di Rovigo e del Polesine, da Mazzon, appunto, Gabbris Ferrari a Sergio Garbato. Abbiamo eccellenze che possono parlare a chiunque”. E Spinello gli fa eco. “La collana ‘Le Radici’ ha 37 titoli, dall’Ottocento alla Resistenza fino al presente. Con Rem, rivista che parla del territorio, abbiamo allargato lo sguardo al Basso Veneto, cerniera naturale con l’Emilia-Romagna e con i due Delta che sono lo stesso territorio. Le divisioni amministrative sono artifici; la sensibilità è comune”.
E i buoni propositi per il 2026? Spinello sceglie l’essenziale: “Poter continuare a pubblicare libri. Dare possibilità agli autori di mettere in piazza ciò che hanno dentro: ricerche storiche, romanzi, espressioni dell’anima. Bisogna sfuggire alla frenesia dello scroll”. “Realizzare i titoli che abbiamo in cantiere – risponde Munaro - e invitare le voci nel nostro box numero 5 di Piazzetta Annonaria. Porteremo, per esempio, Bita Malakuti, una poetessa iraniana che vive negli Usa, e una poetessa turca che vive in Germania. Portarle qui significa offrire alla città un incontro umano irrinunciabile”. In chiusura, una riflessione che coinvolge entrambi. “Mi dispiace quando l’editore viene dimenticato – le parole di Spinello - nelle piccole case editrici l’editore tiene in mano tutti i fili: è un burattinaio in positivo, che sa quando lasciarli perché il libro cammini da solo. L’autopubblicazione crescerà, e va bene, ma sono due cose diverse: chi pubblica un solo libro e chi ne pubblica 240 al servizio degli altri”. E Munaro precisa: “Spesso si confonde editore e tipografo. Eppure l’editore è parte dell’opera. In Italia la sua figura è poco studiata: pensiamo al ruolo di Gobetti per Montale o, nel secondo Novecento, a Vanni Scheiwiller. L’editore costruisce la cultura di un’epoca”. Già, la cultura, che passa dalle parole dette e scritte, ascoltate e lette.

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