Cerca

CAFFÈ DEC

L’algoritmo fomenta le “bufale”

Il docente di diritto comparato all’università di Padova: “La normativa sfugge alle piattaforme”

Nicola Brutti, professore associato di diritto privato comparato all'università di Padova parla di fake news nella trasmissione Caffé Dec, il format di Delta Radio che fornisce "pillole di diritto" grazie agli esperti delle università di Padova e Ferrara e al Cur di Rovigo. In questi ultimi anni si parla molto di fake news, un po' in tutto il mondo, almeno quello delle cosiddette democrazie occidentali: chissà per quale motivo.

Se lo chiede lo stesso Brutti: “Se parliamo di diritto, dobbiamo dire subito che l'espressione fake news o disinformazione è molto generica, appartiene al gergo giornalistico, non ha un corrispondente nel linguaggio giuridico, nelle leggi - premette - I mass media avevano tradizionalmente un maggiore controllo riguardo all'affidabilità delle notizie e delle rispettive fonti. Vi era una gestione abbastanza professionale dei contenuti e una responsabilità degli editori altrettanto ampia e severa da omesso controllo. Con lo sviluppo di Internet, delle grandi piattaforme e social network la libertà di espressione, enormemente potenziata, esce dai canali d’informazione classici per entrare spesso in conflitto con interessi altrettanto rilevanti. Si pensi alla salute e alla sicurezza, all'ordine pubblico, al corretto svolgimento delle elezioni e così via".

Già... abbiamo visto come con la pandemia le teorie complottiste, sono esplose confondendo anche molto le idee ai cittadini. "La diffusione di fake news risulta molto redditizia sul piano commerciale per le stesse piattaforme, perché ciò aumenta le visualizzazioni, i clic, i mi piace - risponde Brutti - Il tutto si riflette sulle entrate pubblicitarie. Insomma, vale tutto purché serva ad aumentare il pubblico. Quindi, si assiste alla diffusione di bufale di ogni genere, tesi cospirazioniste e complottiste, incitazione all’odio e al razzismo. Contenuti di tal genere sono ripresi e diffusi sulle piattaforme e, non solo non vengono bloccati, ma si fa loro anche pubblicità".

"E’ noto che gli algoritmi su cui le piattaforme si basano sono realizzati proprio per attrarre più utenti e, specie nelle versioni più attuali, presentano spesso contenuti ritagliati sulle curiosità più morbose e sull’impatto emotivo. Ciò finisce per favorire, specie tra le fasce più deboli ed emarginate, la formazione di gruppi chiusi che tendono ad alimentarsi culturalmente con queste fake news come in una bolla. La cosiddetta filter bubble consiste nella creazione, proprio tramite l’intelligenza artificiale, di una capillare profilazione personale in grado di livellare le sensibilità e capacità critiche di intere categorie di persone, creando così nuove classi sociali, da manipolare e sfruttare per fini commerciali, politici e così via".

Che questioni giuridiche pone, dunque la diffusione di notizie non verificate?

"I fenomeni che abbiamo descritto, come le filter bubble, tendono a sfuggire alle leggi, perché non si è neanche in grado di individuarli - premette Brutti - data la matrice poco trasparente degli stessi algoritmi che li realizzano. Dal punto di vista dei rimedi giuridici, ci si trova di fronte ad una rincorsa affannosa. Le piattaforme digitali si sono tradizionalmente fatte scudo dell’impossibilità oggettiva di controllare tutti i loro contenuti, ma, se solo volessero, oggi troverebbero risposta nell’intelligenza artificiale".

Anche la tutela dalle fake news diventa 2.0: "Sembra ormai da archiviare la stagione delle classiche tutele, quali ad esempio il controllo disciplinare dell'ordine dei giornalisti, il reato di diffusione di notizie false e tendenziose, che debbono essere atte a turbare l'ordine pubblico, la diffamazione a mezzo stampa o internet che essenzialmente scatta quando una pubblicazione nuoce alla reputazione di una singola persona. Anche le norme a tutela della privacy e dei consumatori, per quanto moderne, si basano ancora sulle modalità ordinarie della comunicazione di massa e, comunque, non affrontano il problema delle pratiche ingannevoli perpetuate dai robot che possono oggi leggere perfino le emozioni della persona ed essere programmati ad utilizzarle come leva a scopo di profitto".

Proprio in questi giorni entra in vigore il regolamento varato dall'Unione Europea, denominato Digital services act, “che propone nuove misure - spiega ancora Brutti - In particolare mira a rafforzare il controllo soprattutto sulle piattaforme di grandi dimensioni. Si prevedono obblighi di trasparenza e controlli più efficaci, proprio sul funzionamento degli algoritmi e sui sistemi utilizzati per i suggerimenti pubblicitari mirati; meccanismi di segnalazione per consentire a una serie di enti, comunità di fact checking ed anche a singole persone, di avvisare circa la presenza di contenuti potenzialmente illeciti. Vi sono obblighi di adottare soluzioni che consentano all'utente di sottrarsi facilmente a pubblicità e annunci basati sulla profilazione personale”.

Le piattaforme dovrebbero così intervenire tempestivamente, aumentando il loro livello di responsabilizzazione, ma anche i loro poteri. “Con un ampliamento di questi ultimi, alcuni temono un effetto di censura, insomma una deriva dannosa per la partecipazione democratica e la libertà di espressione. Bisognerà vigilare affinché ciò non accada. La soluzione percorsa sembra anche valorizzare una più estesa autoregolamentazione delle piattaforme da concordare con l'autorità di controllo. In tal modo, i giganti di internet dovrebbero mettere in campo misure adeguate per prevenire le pesanti sanzioni previste a loro carico in caso di violazioni”.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su

Caratteri rimanenti: 400

Video del Giorno

NextGenerationEU

Aggiorna le preferenze sui cookie