IL SALOTTO
03 Gennaio 2025
“Le città hanno la capacità di fornire qualcosa per tutti, solo perché, e solo quando, sono create da tutti”. Partiamo da questa citazione di Jane Jacobs, antropologa statunitense del Novecento, prima di accomodarci nel nostro “Salotto” ed ascoltare il dialogo tra due docenti universitari, il rodigino Giorgio Soffiato, fondatore di Marketing Arena che insegna a Ca’ Foscari, Università di Padova e Trinity College di Dublino, e Giulio Buciuni, trevigiano, direttore del Master in Entrepreneurship al Trinity College di Dublino, Visiting Research Fellow del Center on Global Value Chains alla Duke University e ricercatore all’Università di Toronto. Il tema? Rovigo, la periferia che può diventare centro. C'è un’Italia che lotta contro la marginalità, un territorio che sa di essere periferia ma sogna un futuro da protagonista. Rovigo e il Polesine, spesso relegati ai margini del dibattito economico e culturale, potrebbero ribaltare questa narrazione. Soffiato e Buciuni hanno illuminato un tema cruciale: come trasformare una condizione di marginalità in un vantaggio competitivo.
“Il problema di Rovigo non è solo la geografia, ma l’assenza di un brand”, osserva Soffiato. Il Polesine, con la sua posizione strategica e le risorse naturali, potrebbe diventare un crocevia economico tra terra, mare e fiume. La presenza dell’interporto, oggi sotto-utilizzato, offre una chiara opportunità per attrarre investimenti e ridisegnare il territorio come punto di riferimento logistico e commerciale. Tuttavia, a mancare è una narrazione positiva e coesa che valorizzi queste risorse. “Si può fare meglio, smettendo di fare peggio”, afferma con pragmatismo. Per costruire un’identità territoriale forte, è necessario creare un marchio capace di rappresentare la ricchezza del Polesine e rilanciarlo sul piano nazionale e internazionale. Buciuni aggiunge una prospettiva geografica: “Rovigo non è solo periferica rispetto al Veneto, ma anche rispetto all’Europa”. Questa doppia marginalità, che a prima vista potrebbe sembrare un limite, rappresenta in realtà una condizione unica. L’abitudine a convivere con una posizione periferica offre a Rovigo una maggiore capacità di adattamento rispetto ad altre aree che ancora si percepiscono come centrali. Questo, secondo Buciuni, può trasformarsi in un punto di forza, soprattutto in un’economia che sta progressivamente decentralizzando i suoi centri di potere.
I due studiosi concordano su un punto fondamentale: il futuro economico di Rovigo passa per la costruzione di un ecosistema collaborativo. “Non c’è sistema senza ecosistema”, sottolinea Soffiato. Questo implica la necessità di creare connessioni tra imprese, istituzioni e cittadini. La capacità di attrarre talenti e imprese — l’idea di una “Alfa City” — può convivere con una forte vocazione manifatturiera. Tuttavia, per riuscirci, è fondamentale investire nel marketing territoriale, nella digitalizzazione e nella trasformazione delle imprese. “Le imprese devono diventare plug-in”, aggiunge Buciuni, ovvero elementi integrati in un sistema più ampio che includa innovazione, tecnologia e funzioni intangibili come il marketing e la R&D, research and development, ovvero ricerca e sviluppo. Solo così Rovigo potrà competere con altre città di dimensioni simili in Italia e in Europa.
Rovigo, suggerisce Soffiato, deve smettere di “non scegliere”. Per troppo tempo, la città ha oscillato tra diverse possibilità senza mai imboccare una strada chiara. Serve una guida strategica, un posizionamento definito e una visione condivisa. Non basta fare leva sul passato; occorre aggiungere nuova linfa, puntando su settori come la tecnologia, il turismo e l’agri-food.
Buciuni propone un approccio pragmatico: “Dobbiamo partire da ciò che Rovigo sa fare meglio.” Questo implica una mappatura accurata degli asset territoriali, come le competenze storiche nel settore agricolo e le risorse naturali, per poi combinarli con nuove opportunità in settori ad alta tecnologia e innovazione. Inoltre, occorre coinvolgere attivamente tutti gli stakeholder chiave — dalle grandi imprese alle associazioni di categoria, fino alle istituzioni locali — per definire una traiettoria evolutiva che possa garantire continuità e rinnovamento.
Il confronto tra i due docenti mette in luce la necessità di un cambio di paradigma per Rovigo. È il momento di superare il provincialismo fatto di cliché e abbracciare una visione ambiziosa e inclusiva. Le periferie non devono essere viste solo come luoghi di svantaggio, ma come laboratori per nuove idee, spazi in cui l’innovazione può trovare terreno fertile.
Rovigo non è destinata a restare ai margini: con consapevolezza, visione e un pizzico di audacia, può costruire un futuro in cui la periferia diventa il centro di un nuovo modello di sviluppo. La chiave sta nell’equilibrio tra tradizione e innovazione, tra le radici storiche e le nuove sfide globali. In questo modo, Rovigo può non solo ispirare l’Italia, ma anche diventare un modello di riferimento per altre realtà periferiche in Europa.
Luca Crepaldi
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